2 - l'eroe, un cannibale
Quando Carnivale riuscì ad arrampicarsi fuori dal buco, fu costretto a stringere le palpebre per abituarsi pian piano alla tenue luce della luna. Si guardò intorno, disorientato. Era convinto di essere nelle viscere di una grande fortezza, ma ora all'orizzonte apparivano solamente alberi e rovine.
«Catherine l'ha fatto sparire.» spiegò il demone che l'aveva salvato, facendolo sobbalzare. Gli leggeva nel pensiero?
«Il castello intendo.»
Carnivale gli lanciò un'occhiataccia. Magari non riusciva a parlare, ma non era mica stupido!
Il demone sconosciuto si portò una mano al collo, grattandosi distrattamente la nuca con gli artigli. Era strano. Carnivale fino a un secondo prima era convinto che quello fosse un plebeo, puzzava come uno di loro quantomeno, ma il suo aspetto era tutt'altro che rozzo. Un paio di corna gli accarezzava le tempie, chiarissime. Puntavano verso il basso, girando su loro stesse come quelle dei montoni. Parevano imitare una corona d'alloro. La chioma, che gli adornava le spalle, poi era di un raro biondo grano. Quattro occhi color del ghiaccio adornavano il volto a cuore, le labbra carnose, violacee sembravano morbidissime e la pelle era cadaverica, quasi umana. In effetti, aveva sembianze umanoidi. L'avrebbe scambiato per uno di quelle bestie, se non avesse notato una lunga coda, che gli partiva dalla base della schiena e si muoveva a scatti, agitata. Bianca, corazzata, a metà si divideva in due punte aguzze, che spostandosi sbattevano tra loro. Le squame trasparenti riflettevano la poca luce che riuscivano a catturare e brillavano, formando una sorta di arcobaleno.
Quando sorrise, cacciando fuori la lingua serpentina e mostrando i canini, Carnivale non ebbe alcun dubbio: un rettile. Quello davanti a lui apparteneva certamente a una razza nobile, antenata dei draghi, la stessa di cui faceva parte Ira in persona. E il fatto che riuscisse a mantenere sembianze antropomorfe senza alcuna difficoltà gli suggeriva che fosse molto forte. Era tremendamente difficile mutare il proprio aspetto in quel modo e mantenerlo per qualche secondo, figuriamoci per interi minuti!
Carnivale provò a staccarsi il collare con forza, un disperato tentativo di non essere meno di quell'essere. Non riuscì nemmeno a grattarne la superficie, ovviamente. Quell'affare bruciava, ribolliva, lo stordiva e indeboliva. Alla fine rinunciò, lasciandosi andare a un grugnito, nervosissimo. Non distolse gli occhi dal rettile nemmeno per un istante.
Che diavolo ci faceva lì uno del suo calibro? E perché l'aveva liberato?
Notò che teneva lo sguardo fisso verso una direzione precisa.
Carnivale voltò il capo e aguzzò gli occhi, tentando di mettere a fuoco la figura che aveva catturato l'attenzione del suo benefattore. E il sangue gli si congelò nelle vene non appena la vide. Le ringhiò contro. Provò immediatamente a raggiungerla. La rabbia gli infiammava i polmoni e la sua era una furia cieca, assassina. L'avrebbe presa e trascinata nelle profondità degli abissi di lava, fatta a pezzi, torturata...
Ma prima che potesse rendere realtà ogni sua fantasia contorta, cadde malamente a terra, sbattendo il muso contro ciò che rimaneva del pavimento della roccaforte. Non aveva energie. A dire il vero, le gambe l'avevano abbandonato almeno un mese prima. Era riuscito ad arrampicarsi solamente grazie all'adrenalina che aveva in circolo e all'aiuto di quel dannato demone. Tremò. Era nuovamente alla mercé di quella stronza, non poteva crederci!
«Ehm ehm...» il serpente si schiarì la gola, tentando di richiamare la sua attenzione. Carnivale però era troppo preso a trucidare con lo sguardo quella mocciosa.
L'aveva tentato, sconfitto in combattimento e consegnato a quelli dell'Avarizia senza pensarci due volte. E ora aveva raso al suolo la prigione che l'aveva tenuto rinchiuso per mesi? Cosa cavolo le frullava in testa?
L'unica cosa di cui Carnivale era certo era che non sarebbe stato più il suo giocattolo. Era orgoglioso e ora sapeva quanto quella là fosse pericolosa. Non si sarebbe fatto raggirare una seconda volta.
Tentò subito di rimettersi in piedi, ordinò alle sue ossa malandate di collaborare, ma purtroppo non riuscì a muovere mezzo muscolo.
Catherine ridacchiò. Quel demone era cocciuto, determinato e la voleva morta: lo trovava decisamente adorabile. Le era andato a genio fin dal primo momento in realtà e ne aveva già testato la forza. Sarebbe sicuramente diventato l'alleato perfetto. Certo, forse farlo rinchiudere per spingerlo ai limiti era stato un po' troppo, ma l'importante era che aveva raggiunto il risultato che desiderava. Il fine giustificava i mezzi, no?
Carnivale adesso la odiava profondamente, desiderava la sua testa, vederla ridotta a un colabrodo. Insomma aveva una ragione che lo spingesse a combattere.
Catherine ne era convinta: se Carnivale avesse coltivato il suo talento, avrebbe potuto perfino eguagliare i peccati e magari addirittura superarli. Non vedeva l'ora che ciò accadesse, ma quando l'aveva incontrato si era trovato di fronte uno sciocco ragazzino sognatore, che si considerava indistruttibile per via del suo sangue nobile e del passato di cui tanto andava orgoglioso.
Non aveva alcun obiettivo. Nessuna luce. Doveva fare qualcosa! Non poteva permettere che quell'enorme potenziale venisse sprecato.
Catherine allora aveva dovuto fare una scelta: rinunciare a quel ragazzino tra le sue fila - cosa impensabile perché lei lo voleva e otteneva sempre ciò su cui puntava gli occhi - oppure dargli il trattamento spartano che un tempo avevano riservato a lei.
Era andata per la seconda, ovviamente. Doveva rimetterlo al suo posto, prima di poterlo guidare, incoraggiare. Distruggere il suo corpo, la sua anima, e modellarlo da capo. E adesso che la detestava, aveva anche una ragione valida per voler diventare davvero forte.
Sorrideva ancora quando raggiunse Carnivale e...
«Ricordami come devo chiamarti 'sto giro.» sbuffò, facendo ridere il suo vecchio compagno d'armi. Catherine pareva una bambina, ma quell'essere era molto più antico di lei e sembrava avere appena vent'anni. La irritava.
“Perché io non riesco a crescere più di così?”
Il fisico scultoreo dell'uomo non la toccava per nulla, ma lo invidiava, questo sì. E sapeva perché si fosse presentato in quel modo: vestito solamente di veli e nient'altro. Ai demoni quell'aspetto solitamente piaceva molto, quindi Catherine immaginò che si fosse presentato così per attirare l'attenzione del principino che ora giaceva ai loro piedi, inerme.
Lanciò un'occhiata a Carnivale, mentre l'altro rispondeva: «Sun.»
«Che razza di nome!» Catherine si lamentò, scuotendo il capo.
«Non potevi trovarti di meglio?»
«Che vuoi che importanza abbia un nome per uno che continuava a reincarnarsi? Uno vale l'altro.» fece spallucce.
«Sì, ma-»
«E poi-» la interruppe, alzando un sopracciglio «-mi hai esplicitamente detto che ti serve qualcosa che ricordi il caldo sole cocente, no?»
Il demone ghignò. Gli piaceva stuzzicarla e adorava quel piccolo broncio che faceva ogni volta che le rispondeva a tono. Catherine dopotutto era la sua più cara amica e le voleva tremendamente bene, per questo che la seguiva nelle sue pazzie senza pensarci due volte. Era l'unica persona, in tutta la sua dannata eternità, ad averlo davvero divertito. Intrattenuto.
«No. Ho detto che ci serve qualcosa che ricordi la luce brillante del sole!» esclamò lei, già stufa.
«Un eroe!»
«Sun allora è perfetto come nome. Vero, Carnivale?»
Il demone ringhiò. Era ancora a terra, privo di energie, e si sentiva ignorato, messo da parte. Odiava quella familiare sensazione.
«Oh, giusto!» Catherine batté le mani tra loro, quasi si fosse appena ricordata di una cosa. Si inginocchiò e gli prese il volto fra le mani, sollevando metà del suo corpo con una facilità disarmante. E intanto a Carnivale faceva male ogni singolo osso.
«Scusa se ti ho quasi ammazzato. Senza rancore, ok?»
“Cosa cazzo hai da ridere tanto!?” pensò lui, ma non riuscì a dirglielo. Anche perché svenì l'attimo dopo, esausto.
«Oh, poveraccio! Doveva essere davvero provato.» Sun inclinò il capo, osservando le ferite sulla schiena di quello che una volta era un nobile e altezzoso demone. Qualcuno l'aveva sicuramente frustrato e le cicatrici sarebbero rimaste per sempre, visto che nessuno si era preso la briga di disinfettare quei tagli nemmeno per sbaglio. E poi era coperto di fango e feci, puzzava. Aveva bisogno di un bagno. Ed era debole, malnutrito. Ci avrebbe messo un anno solamente per rimetterlo in sesto. Eppure lo vedeva chiaramente: il potenziale che aveva acceso la curiosità di Catherine. Sì, poteva lavorarci.
«Sei sicura che posso tenerlo?» domandò.
«Guarda che poi non te lo ridò indietro.»
«Sicurissima.» rispose Catherine, annoiata. Lo mollò di colpo, regalandogli così un nuovo livido sul mento.
«È bravo con la spada, se la cava con la lancia. Decisamente il tuo tipo, no?» indicò il malcapitato.
«Avevo giusto bisogno di un capo legione.» concordò Sun.
«E quanto ti serve per il resto?» chiese Catherine senza giri di parole, incrociando le braccia al petto.
Sun socchiuse gli occhi, pensieroso.
«Una decina d'anni.» fece una stima veloce.
«Due per occuparmi di lui, tre per la guerra. Cinque per-» si fermò, lanciandole un'occhiata.
«Beh, perché pensarci ora?» ghignò.
«I corpi dei soldati?»
«Per chi mi hai presa? Te li ho conservati.» ghignò lei, lanciando uno sguardo alle sue spalle.
«Sono oltre quel muro. Ho pensato che se ti avesse visto mangiare sarebbe stato più restio ad ascoltarti, quindi li ho nascosti. È già apparecchiato. Non c'è di che.» concluse, facendo dietrofront e sparendo nelle ombre, così com'era arrivata.
«Salutami Cerbero!» gridò Sun al vento.
Si tirò su, andando verso quelli che ormai erano cadaveri. Quando si avvicinò e una fredda brezza lo investì, un delizioso profumo di morte gli arrivò alle narici, facendogli venire l'acquolina in bocca. Si stiracchiò, le code colpirono il suolo con uno slancio.
Aveva fame.
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